Fonte: Avvenire.it del 09/05/2017
Luciano Moia martedì 9 maggio 2017
Non è un caso isolato quello di Giancarlo Ricci, che dovrà subire un procedimento disciplinare per avere sostenuto la centralità delle figure materna e paterna nel processo di crescita.
Il caso di Giancarlo Ricci, lo psicologo milanese che subirà un procedimento disciplinare – il terzo della sua lunga carriera – per aver sostenuto la centralità delle figure genitoriali materna e paterna nei processi di crescita, non è un caso isolato. Sono almeno una decina i ‘processi’ avviati da vari Ordini professionali degli psicologi nei confronti di altrettanti specialisti che rifiutano il pensiero unico su omosessualità e gender. Le accuse sono spesso deontologicamente risibili e scientificamente fragili. Comunque difficilmente sostenibili, anche perché non arrivano mai dai pazienti (neppure da coloro che dichiarano la propria omosessualità), ma da altri psicologi. E quasi sempre chi punta il dito è anche un attivista Lgbt. Il risultato è comunque devastante. Nessuno degli psicologi sotto accusa intende uscire allo scoperto. Anche coloro che hanno già ottenuto l’archiviazione del procedimento a loro carico preferiscono dimenticare la questione. «Per favore, le racconto tutto, ma non faccia il mio nome», è la risposta che torna quasi identica. Anche un avvocato che da tempo segue questi casi e sta tentando di mettere insieme un dossier, chiede l’anonimato. A dimostrazione di quanto sia pesante il clima creato dal pensiero unico su sessualità, identità e generazione. Una dittatura che avanza e fa paura. Perché spesso, come nel caso degli psicologi, c’è in gioco il lavoro.
Accogliere ogni disagio anche in riferimento all’orientamento sessuale. Ma respingere ogni forma di persecuzione nei confronti di psicologi che non si allineano al ‘pensiero unico’. Tonino Cantelmi, presidente Aippc (Associazione italiana psichiatri e psicologi cattolici, 400 soci ordinari, 1.500 aderenti e simpatizzanti) interviene sul caso del collega Giancarlo Ricci. La vicenda dello psicoterapeuta milanese, nei cui confronti è stato avviato un procedimento disciplinare dall’ordine degli psicologi della Lombardia, l’abbiamo raccontata la scorsa settimana. Ricci è stato accusato tra l’altro di aver affermato che «la funzione di padre e madre è essenziale e costitutiva del percorso di crescita».
Come è possibile porre in stato di accusa un professionista con tanti anni di esperienza per aver affermato una verità non solo ovvia ma difficilmente contestabile?
Sorprende l’accanirsi contro il dottor Ricci, persona colta e saggia, oltre che psicologo professionalmente di gran valore. Tra le cose più sconcertanti c’è il richiamo ad un articolo del codice deontologico che sanziona inadeguatezze formative: il dottor Ricci ha un curriculum scientifico impressionante. Sorprende la decisione di avviare questo procedimento sia per il tipo di addebiti, davvero difficili da considerare tali (e quello su padre e madre sfiora il ridicolo: davvero è discriminante ritenere che la condizione più protettiva per la salute mentale sia una famiglia, come dimostrano recenti dati pubblicati da un rapporto internazionale?), sia per la raccolta firme che sostiene l’esposto: il fumus persecutionis andrebbe considerato.
Di fronte ad accuse così stravaganti come si comportano in generale gli Ordini regionali degli psicologi?
In linea di massima hanno adottato un comportamento responsabile ed attento: gli esposti più palesemente strumentali (in una regione erano esposti- fotocopia, presentati da più psicologi che si sono accaniti con un loro collega) sono stati rapidamente valutati per quello che erano, altri hanno dato luogo a procedimenti che non hanno evidenziato condotte deontologicamente scorrette, salvo un caso. Comunque continuo a credere, sulla base di quanto mi riferiscono i tanti aderenti psicologi all’Aippc, che gli Ordini regionali, e anche quello della Lombardia, sapranno valutare con equilibrio la sottile demarcazione tra ideologia e libertà di espressione, tra pensiero unico e dibattito, tra intimidazione e libertà di opinione e libertà di ricerca scientifica.
Una delle accuse più frequenti rivolte a psicologi e psichiatri finiti nel mirino dei vari ordini regionali riguarda le ‘terapie riparative’. Perché queste pratiche suscitano tanta indignazione?
Ribadisco un no secco a terapie riparative o affermative. Esiste la psicoterapia. Comunque l’Aippc e i suoi aderenti hanno preso le distanze dalle terapie riparative (e affermative) da molto tempo. L’omosessualità di per sé non è una patologia. Dobbiamo accogliere il frutto della ricerca scientifica con serietà. Al momento attuale l’omosessualità è considerata una variante della sessualità senza una connotazione patologica a priori.
Cosa dovrebbe fare quindi uno specialista di fronte a un paziente che dichiara di essere a disagio con la sua omosessualità e non intende accettarla?
Accoglierlo in psicoterapia. Ogni disagio va ascoltato.
E rispetto a coloro che affermano la possibilità di autodeterminare l’orientamento sessuale e di cambiarlo anche varie volte ne corso della vita? Credo che assolutizzare l’autodeterminazione possa condurre verso territori dolorosi. Tuttavia il vero orizzonte è la felicità e il benessere: psichiatri e psicologi studieranno il tema della cosiddetta fluidità di genere e ne considereranno l’impatto sul benessere. Reclamo la libertà di ricerca scientifica: per esempio vogliamo studiare con libertà e senza pregiudizi se è vero o no che il tema dell’utero in affitto sia indifferente per la salute mentale o se la frantumazione del concetto di genitorialità fondato sulla complementarietà maschile/femminile abbia o no conseguenze.
È vero che esiste una larga parte di terapeuti cosiddetti ‘gay affermativi’, che incoraggiano chi ha problemi di identità sessuale, ad abbracciare la condizione omosessuale?
Ripeto il secco no a terapie riparative o affermative. Ogni disagio deve essere ascoltato e la psicoterapia è un ottimo strumento. Reclamo il rispetto per i pazienti: molti pazienti denunciano il non rispetto per le proprie convinzioni religiose, che psicoterapeuti rozzi liquidano come inutili o addirittura patologiche. Questa è una forma di discriminazione.
Che rapporto c’è tra questa posizione unilaterale e l’influenza esercitata dalla cosiddetta ideologia gender?
I gender studies sono stati davvero utili: hanno evidenziato come gli stereotipi di genere abbiano generato discriminazioni. La polverizzazione del maschile e del femminile è però a mio parere un eccesso strumentale. Ma i contributi scientifici porteranno a chiarire le forme di eccessi ideologici. Questo attiene al dibattito scientifico e non agli Ordini professionali. Non è sanzionabile il libero dibattito e la libera ricerca. Quello che è in gioco è la libertà degli psicologi.